2013
69 anni di Riva: compie gli anni tutto il calcio italiano!
“Gli uomini versano il tributo di nostalgie per epoche che mai hanno vissuto” cantava Caparezza in Follie Preferenziali e mai frase è più adatta ai tifosi del Cagliari. La maggior parte di noi non ha, purtroppo, vissuto gli anni d’oro del grande Cagliari tra fine anni ’60 e primi anni ’70, ma grazie ai racconti di papà e nonni, è come se fossimo stati lì, e vorremo tanti esserci stati. Era un’altra epoca, erano gli anni di Gigi Riva, che per eroiche gesta non avrebbe nulla da invidiare ai semi-dei greci o ai paladini medievali. Arriva in una terra lontana, dimenticata, in cui non ci sarebbe neanche voluto andare, e la porta in cima alla Nazione nel giro di 7 anni. Dalla B del 1963 si passa allo scudetto del 12 aprile 1970, tutto per i suoi piedi, tutto per il numero 11.
Il suo modo di giocare, potente, grintoso, veloce e incontenibile anche per i più arcigni difensori, aveva fatto innamorare tutto il mondo, tanto da meritarsi paragoni con i grandi calciatori dell’epoca come Eusebio e Pelè. Lo scontro con il brasiliano, ritenuto da molti il migliore di tutti i tempi, avverrà due volte: al Mondiale in Messico nel ‘70, dove il Brasile schiantò in finale un’Italia, stremata dalla gara con la Germania, per 4-1 e nell’amichevole tra Cagliari e Santos, dove il bomber mise a segno due gol in meno di 45’.
Se da una parte l’eleganza con cui segnava, la voglia di non mollare mai e un innato fiuto per il gol erano il suo punto di forza, dall’altra la fragilità e l’irruenza con cui gli avversari cercavano di contenerlo, frenò non poco il suo vero potenziale. Due terribili infortuni con la Nazionale furono pagati a caro prezzo dal Cagliari, soprattutto il secondo nel 1971 ad opera di Hof, che costrinse la squadra di Scopigno a giocare senza il suo uomo migliore gran parte del campionato, nonché il ritorno di Coppa dei Campioni contro l’Atletico Madrid, che ribaltò in Spagna il 2-1 del Sant’Elia. Quella squadra, forse anche più forte dell’anno precedente, non riuscì a bissare il tricolore, nonostante la roboante vittoria per 3-1 a San Siro sull’Inter, che avrebbe poi vinto il campionato, nella partita che, a detta dello stesso Mito, è stata la migliore della sua carriera e della storia cagliaritana. Proprio in quella partita il leggendario giornalista italiano Gianni Brera lo soprannominò Rombo di Tuono, un nome che calza a pennello per una Leggenda (con la L maiuscola) come lui. Senza quegli infortuni e la scelta di cuore di restare in Sardegna, avrebbe sicuramente vinto il Pallone d’Oro, sfiorato nel 1969 con un secondo posto alle spalle di Rivera, mentre nel 1970 arrivò terzo. Ma è questo che, forse, rende ancora più mito il Mito di Riva. In una storia di “se” e di “ma”, parlano i suoi 207 gol in 374 partite con il Cagliari, il record in Nazionale, imbattuto da 40 anni, con 35 gol in 42 partite e la straordinaria media di 0,83 reti a partita. Una media da Olimpo del Calcio: in molti si dimenticano di Riva quando si parla dei più grandi di sempre, anche solo in ambito italiano, ma Rombo di Tuono non sfigurerebbe affianco allo stesso Pelè e ai vari Cruijff, Platini, Van Basten e Maradona.
Su Riva ce ne sarebbero da dire tante: “con il destro sale solo sul tram” diceva Scopigno eppure giocare con un piede solo gli è bastato eccome anche se con il “piede debole” (se così si può definire) ha battuto più volte i portieri avversari, come quando l’allenatore del Foggia disse ai suoi di stare attenti solo al mancino e segnò di destro. I gol con il destro, ma soprattutto con il sinistro, di testa e in acrobazia attirarono inevitabilmente l’attenzione delle grandi, alle quali disse sempre no: la Juventus arrivò ad offrire al Cagliari ben sette giocatori (compresi Cuccureddu, Gentile e Bettega, che erano nel giro della Nazionale) più un miliardo di lire, che nel ’73 non erano proprio spiccioli; sarebbe stato un trasferimento record. Ma lui non voleva abbandonare la Sardegna e i sardi, che lo avevano accolto come uno di loro e la scelta di restare ha solo accresciuto l’affetto, che ancora oggi gli mostrano, dopo tanto tempo.
Costretto al ritiro, dopo l’ennesimo infortunio contro il Milan, Rombo di Tuono resta nel mondo del calcio, rifiutando di “vendersi” con pubblicità e come commentatore sportivo, ma rimase come semplice dirigente. Prima fa il Presidente a Cagliari, nel 1986/87, poi dal 1990 divenne dirigente accompagnatore della Nazionale fino a pochi mesi fa, quando annunciò il suo ritiro anche da questo ruolo, nonostante Cesare Prandelli conti ancora sull’ex ala sinistra per il prossimo mondiale brasiliano, segno di quanto fosse importante non solo come calciatore, ma anche come uomo.
Per il suo quarantesimo compleanno decise di tornare ad indossare le scarpette e trafisse per 10 volte su 10 tiri dal limite l’allora portiere cagliaritano Minguzzi e con estrema modestia commentò: “Che c’è da stupirsi? Fossero stati 30 su 30 potevo capire, ma così è facile” nonostante avesse smesso da otto anni.
Forse un’impresa del genere per i suoi 69 anni sarebbe più difficile da vedersi, ma questo non sminuisce ciò che è stato e ciò che è. Oggi non festeggi solo tu, non festeggia solo la Sardegna, ma tutto il calcio, italiano ed estero: Tanti auguri Gigi!