Cagliari, Astori: "Ho sempre creduto che sarei potuto diventare un professionista" - Cagliari News 24
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2013

Cagliari, Astori: “Ho sempre creduto che sarei potuto diventare un professionista”

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Il centrale rossoblù Davide Astori sabato sera ha affrontato il suo passato con la maglia della Nazionale. All’Olimpico di Torino è stata infatti disputata un’amichevole premio tra la squadra guidata da Cesare Prandelli e il Pontisola, formazione che nel 2012 vinse il trofeo Fair Play della Lega Nazionale Dilettanti. Astori, cresciuto proprio nelle giovanili del Pontisola, ha ricordato il suo passato nella società di Ponte San Pietro in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera.

Astori, ritorno al futuro. Sono passati dodici anni da quando giocava nel Ponte San Pietro.
«Sono emozionato. Sono cresciuto lì, devo ringraziare l’ex presidente Airoldi e tutto lo staff, perché è stato un passo importante prima di raggiungere il Milan».
Per quanto tempo ha giocato lì?
«Tre stagioni che rappresentano un ricordo ancora vivo nella mia carriera. Mi hanno aiutato molto ad arrivare qui».
Quando ha saputo dell’amichevole?
«Circa un mese fa, perché ci gioca Federico Risi, fratello del mio amico Enrico. Speravo proprio di esserci. Sono contento per me, e pure per la squadra».
È un bel riconoscimento, dopo avere vinto il premio per il fair play.
«Due anni fa giocammo contro una squadra di Serie D veronese. Può essere un’esperienza molto piacevole per un calciatore di questa categoria».
Perché in molti avrebbero voluto avere la sua carriera.
«E giocare contro la Nazionale, con tutti i campioni che la compongono, è un onore per quei ragazzi che aspiravano a una carriera».
Qualcuno che giocava a Ponte con lei ha fatto strada?
«Penso che qualcuno sia riuscito ad arrivare alle soglie di un campionato professionistico, ma nessuno credo si sia affermato. Magari mi sfugge qualcosa, in caso mi scuso».
Perché fu preso proprio lei?
«La società era affiliata al Milan, così i rossoneri mandavano spesso un osservatore alle partite. Io giocavo con ragazzi più grandi di me».
E l’hanno notata.
«Dopo un anno di corteggiamento, di provini, sono arrivato a vestire la maglia del Milan con i giovanissimi regionali. Insieme a dodici, tredici giocatori nuovi. C’era sempre molto ricambio».
L’unico ragazzo proveniente dal Ponte?
«Di quella sessione sì. Però il Milan pescava almeno uno o due giocatori all’anno. Un nome? Giovanni Panza».
Per lei non era un viaggio facile fino a Ponte.
«Sono di San Giovanni Bianco, quindi era già un’avventura. Però i ricordi maggiori sono proprio dovuti ai trasferimenti con i compagni di squadra, facendo andata e ritorno dall’allenamento. Erano anni bellissimi, vissuti positivamente, per un ragazzo non c’era esperienza migliore».
Nessuno la considerava un predestinato?
«Sinceramente è difficile sbilanciarsi, perché in cinquanta società professionistiche ci sono venti ragazzi per ogni squadra del settore giovanile, quindi ogni parola è illusoria».
La ricetta per diventare professionista?
«Io ci ho sempre creduto e sperato, crescendo di anno in anno fino a diventarlo».
E il Pontisola ha goduto economicamente del suo successo.
«Credo che il premio di formazione l’abbiano preso loro. Diciamo che ne sono sicuro al 90%, perché prima, a San Giovanni Bianco, ero nel CSI».
Qual è l’obiettivo di questa Nazionale?
«Vogliamo guadagnare la qualificazione in anticipo, con le prossime due partite. Potremmo arrivare al Mondiale con le certezze della Confederations Cup e dell’Europeo».
E quello personale?
«Ritagliarmi sempre più spazio. Intanto ho giocato una partita ufficiale in Brasile a giugno, spero di riuscire a inanellare presenze anche in queste qualificazioni».
L’emozione più forte nel giocare con la maglia azzurra?
«Il momento degli inni, capisci che non rappresenti solo una città. Ci sono pressione e orgoglio».
Una cosa che le manca degli anni a Ponte San Pietro?
«Il tè del magazziniere Manzoni: il più buono degli ultimi 20 anni».

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