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Brugnera: «Il Cagliari dello Scudetto, un gruppo perfetto» – ESCLUSIVA
A tu per tu con Mario Brugnera. Dal Cagliari dello Scudetto alle generazioni successive: una carriera vissuta tutta in rossoblù
Oltre 400 presenze con la maglia del Cagliari (328 solo in campionato): quando si parla di bandiere del calcio non si può non pensare subito a Mario Brugnera. Arrivato in Sardegna cinquantadue anni fa e subito protagonista dello storico Scudetto, grazie a tecnica ed acume tattico ha saputo ricoprire praticamente tutti i ruoli e tenere a battesimo tante generazioni di rossoblù. Una carriera lunga, interamente dedicata all’Isola che è diventata casa sua. Lo abbiamo raggiunto in esclusiva in occasione del cinquantenario di quella vittoria entrata nella leggenda.
Mario, per festeggiare come si deve bisognerà attendere
«È vero, è un peccato ma bisogna fare di necessità virtù. Sto a casa, dobbiamo farlo e mi adatto alla situazione facendo un po’ di lavoretti in casa. Non è facile perché sono abituato a stare sempre in giro e poi mi manca stare in campo con i miei ragazzi. Allenare i giovani mi dà tante soddisfazioni, sia quando mi capita un campione come è successo con Barella, sia quando magari il talento non c’è ma il ragazzo cresce bene come uomo».
Domenica è il 12 aprile, ogni anno in quella data sembra di risentire il boato dell’Amsicora
«Quel Cagliari era fortissimo, una squadra unica. Se Riva non si fosse fatto male avremmo anche vinto più titoli. Se penso ai 16 giocatori che componevano quel gruppo stento a ricordare una squadra più forte: pensate alla qualità di calciatori come Gigi, Cera, Greatti, Domenghini, Nené. Tutta gente che col pallone faceva cose fantastiche, col supporto poi di marcatori efficacissimi come Niccolai o Martiradonna. Un gruppo straordinario, reso invincibile dalla coesione. Ci conoscevamo alla perfezione, in campo bastava uno sguardo per capirci. Lo sapeva anche Scopigno, che di rado cambiava qualcosa perché funzionavamo troppo bene».
Poi c’era un certo Brugnera che in campo poteva interpretare qualsiasi ruolo…
«Faccio fatica a ricordare altri calciatori che abbiano cambiato posizione così tante volte. Alla Fiorentina ero centravanti e segnavo pure parecchi gol, a Cagliari c’era Riva quindi sono passato a fare la mezzala, poi dopo che Greatti si è ritirato sono passato stabilmente a centrocampo, infine sono arretrato a fare il libero. Non ho mai detto di no a un allenatore, avrei giocato anche in porta».
Mentre tu spostavi il raggio d’azione, i volti intorno a te cambiavano
«Ho visto crescere generazioni di giocatori del Cagliari, tanti li ho visti diventare fortissimi. Calciatori come Piras, Virdis, Selvaggi e molti altri. Mi chiamavano nonno nello spogliatoio, di fatto ho cominciato a fare l’allenatore già mentre giocavo. Con Tiddia parlavamo tanto durante la settimana, ci confrontavamo e si parlava di come impostare la partita della domenica».
E tu intanto giocavi sempre. Un record di presenze capace di resistere per 30 anni
«Ai miei tempi si giocava molto meno, un intero campionato ammontava a trenta partite e in tante stagioni le ho giocate tutte senza saltarne nemmeno una: con i ritmi odierni il mio numero di presenze in rossoblù sarebbe ancora maggiore. Però non mi pesa aver ceduto il record a Daniele Conti, oltre ad essere un amico è stato un giocatore da ammirare. E poi anche lui si è innamorato di Cagliari e ha scelto di restare a vivere qui. È uno di noi».
Uno del nutrito club di ex giocatori rimasti a vivere qui. Ci dev’essere qualcosa nell’aria
«Magari da giovane uno può sentire la Sardegna un po’ lontana, ma poi quando si arriva ci si innamora. Io ho visto nascere i miei quattro figli a Cagliari e non ho mai pensato di andare via. Qui sto benissimo, non è un caso se tanti calciatori hanno deciso di non andarsene più. A parte il clima meraviglioso c’è la gente sarda che non ti dimentica mai, ti fa sentire sempre speciale».