Ex Rossoblù
Vicario svela: «A Cagliari scelsi io il numero 31, vi spiego il significato»
Ex Cagliari: Guglielmo Vicario, portiere del Tottenham con un passato in Sardegna, ha rilasciato delle dichiarazioni sul suo passato
Nella giornata di ieri un ex giocatore del Cagliari ha rilasciato delle belle dichiarazioni per Radio Serie A. Si tratta di Guglielmo Vicario, portiere del Tottenham con un passato in Sardegna. Il giocatore degli Spurs ha parlato nel percorso prima di arrivare in Premier League e tanto altro, riporta TMW. Le sue parole:
NUMERO 13 – «È un numero che hanno vestito grandissimi portieri. Mi sono sempre lasciato trasportare da chi ha vestito questa maglia. Il primo anno di Serie A ho scelto la 31, che è una data importante per me: il matrimonio dei miei genitori. Poi sono arrivato ad Empoli e la 31 era occupata, quindi ho optato per la 13 che ha un ruolo importante ed è palindroma con la 31, quindi comunque mi legava ai miei genitori».
PERCORSO – «Sarò sempre grato alla vita per il percorso che ho potuto fare. Partendo dai campi delle categorie interregionali, fino a scalare gradino dopo gradino per raggiungere un sogno. La formazione fatta la custodisco gelosamente, portandomi ogni esperienza sempre con me».
BUFFON – «Il primo che ho seguito è stato Buffon. Averlo con noi durante i raduni della Nazionale è importantissimo. Ci dà sempre consigli preziosi e da portiere a portiere è sempre più facile capirsi».
RUOLO – «Il consiglio è quello di cercare di seguire un sogno e di cercare di non abbandonarlo. Bisogna avere la voglia di starci dentro, accettando gli imprevisti e le difficoltà di qualsiasi percorso. È un ruolo particolare, in cui sei solo a volte, magari una volta più di ora mentre ora sei più coinvolto anche in possesso e in non possesso. È un ruolo affascinante, questa solitudine, questa unicità lo rende quasi diabolico, quasi come se fossi il guastafeste del gol, che è quello per cui la gente va allo stadio. Anche il mio stato di whatsapp (“la solitudine del numero 1”) si riferisce a questo, è qualcosa che mi sono sempre portato dentro, da quando ero piccolo ad oggi. Quel fatto di guardare la metacampo avversaria e vedere i tuoi compagni che attaccano mentre tu sei l’unico rimasto indietro a sistemare i dettagli che ti permettono di non prendere un contropiede o di chiudere meglio da solo e sei completamente da solo ad aspettare quello che sarà».