2014
44 anni fa, lo scudetto più bello del calcio italiano
Ad aprile in Sardegna deve esserci qualcosa nell’aria, aria di rivoluzione. Dopo quasi 200 anni dallo storico 28 aprile 1794, meglio noto come “sa die de sa Sardignia“, l’isola festeggia nello stesso mese un altro importante successo. È lo scudetto, il primato del campionato italiano di calcio, che per la prima volta vede una squadra del Mezzogiorno in testa. Il 12 aprile 1970, ovvero oggi 44 anni fa, il Cagliari, Cagliari e l’intera Sardegna festeggiava una vittoria non solo sportiva, ma sociale, come fu sottolineato dai giornali il giorno dopo. Per questo il 12 aprile, per ogni cagliaritano che si rispetti, è considerato giornata di festa, indelebile nella mente come il giorno del proprio compleanno. È come l’anniversario di matrimonio, il giorno più importante del tuo amore, la vittoria più bella. È, quasi 200 anni dopo, l’allontanamento dei piemontesi, non avviene solo nella nostra terra, ma anche in classifica. Non tutti hanno avuto l’onore di vedere e vivere quei giorni, ma la domenica, tra quei pochi cinquemila tifosi che hanno l’onore di entrare al Sant’Elia,è davvero difficile trovare uno che non sappia a memoria questa filastrocca: Albertosi, Martiradonna, Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Nenè, Gori, Greatti, Riva. Nella mente dei tifosi del Cagliari, la miglior formazione di sempre, come se un alone sacro li circondasse.
In realtà, il 12 aprile 1970, la formazione non fu esattamente quella, a causa dell’infortunio che il libero Tomasini aveva subito mesi prima contro la Sampdoria. Al suo posto Mario Brugnera, che si era ritagliato un posto a centrocampo con l’arretramento del capitano Pierluigi Cera in difesa, una delle tante geniali idee del Filosofo Manlio Scopigno, l’artefice dello Scudetto. Sulla sinistra c’è, invece, Mancin, che si è alternato nel ruolo di terzino con Zignoli tutta la stagione, mentre Greatti indisponibile è sostituito dal jolly difensivo Cesare Poli. Anomala è anche la panchina: infatti, l’allenatore Scopigno è ancora squalificato ed è sostituito per l’ultima volta dal vice Ugo Conti. Tra gli altri non citati, sono senza dubbio da ricordare Adriano Reginato, vice di Albertosi che giocò gli ultimi minuti a Torino, e Corrado Nastasio, chiuso in attacco dal Mito.
Le danze non poteva che aprirle lui, Gigi Riva, con un magnifico colpo di testa in tuffo, su una punizione magistrale di Brugnera, mentre l’apoteosi fu scatenata dal gol di Sergio Gori nei minuti finali e dalla contemporanea sconfitta della Juventus sul campo della Lazio. Il Cagliari è per la prima volta Campione d’Italia, con due giornate d’anticipo, il miglior modo possibile per salutare l’Amsicora, prima di andare nel nuovo e moderno (così appariva allora) Sant’Elia. Un successo meritato, di una squadra che ha mantenuto dall’inizio alla fine la testa della classifica, che vanta tutt’oggi la miglior difesa di un campionato a sedici squadre (appena 11 le reti subite da Albertosi), nonché uno degli attaccanti più forti di tutti i tempi, che quello stesso anno si laureò capocannoniere del campionato per la terza volta consecutiva. Gigi Riva e i compagni Albertosi, Cera, Niccolai, Domenghini e Gori andarono poi a comporre la Nazionale vice-campione del Mondo in Messico, a sottolineare la grandezza di una squadra che non era composta da giocatori qualsiasi, ma da una rosa ben costruita in estate dalla sapienza di uno dei più grandi dirigenti del calcio italiano di sempre, Andrea Arrica.
Per capire l’importanza di tale successo, solo le parole di uno come Rombo di Tuono (che non parla mai per caso) possono spiegare quanto contasse quello scudetto, quella vittoria per i tifosi, non solo del Cagliari, ma di tutta l’Isola: “Allora la Sardegna non era famosa per il mare, come lo è oggi. Era considerata una terra di pecorai e purtroppo banditi. Arrivavano da tutte le parti per seguirci, i sardi, che lavoravano in Germania, Svizzera, Belgio, vincendo uno scudetto, si sono sentiti per la prima volta orgogliosi di essere sardi”. Le peculiarità di quella squadra è che nessun giocatore che componeva il Cagliari era sardo di nascita, ma lo diventarono tutti d’adozione. Infatti, ancora oggi, la maggior parte di loro non ha lasciato l’Isola di cui si sono innamorati.
E, anche se il nostro “vale una decina degli scudetti della Juventus”, 44 anni dopo dall’ultimo, noi non abbiamo ancora smesso di aspettare il prossimo. E mai smetteremo.