2014
Rayo, la resurrezione di Larrivey in Spagna: «Qui sono felice. Cagliari resta sempre qualcosa di speciale»
Dopo 5 anni trascorsi da oggetto misterioso a Cagliari e una breve parentesi poco fortunata in Messico, Joaquin Larrivey sembra trascorrere una nuova giovinezza in Spagna. L’argentino è già arrivato in doppia cifra, raggiungendo quota 11 gol e trascinando il Rayo Vallecano ad una salvezza che fino a poco tempo fa sembrava impossibile. Un miracolo e una resurrezione, culminati nel giorno di Pasqua, che ha visto El Bati andare in rete per l’undicesima volta in campionato contro un altro ex rossoblù, Antonio Adan, portiere del Betis.
E dopo l’ennesima rete in Liga, Joaquin Larrivey è stato intervistato anche da L’Unione Sarda: «Se ho fatto più di ottanta gol in carriera, vuol dire che qualcosa c’è, o no?». In Spagna l’ex attaccante del Cagliari si è lasciato tutto alle spalle, compreso il soprannome di El Bati, il nuovo Batistuta, che in Sardegna non ha portato tanto bene: «Qui in Spagna mi chiamano semplicemente “Larry” e va bene così». Ma non c’è nessuna rivincità nei confronti della squadra sarda, che gli rimarrà comunque sempre nel cuore: «Nessuna rivincita, questa col Rayo è una storia diversa. La rivincità me l’ero già presa l’ultimo anno a Cagliari, segnando più di tutti gli altri attaccanti, 10 gol, 7 in campionato e 3 in Coppa. Purtroppo avevo steccato il primo anno e non ho mai smesso di pagarlo». E non c’è spazio per i rimpianti: «No, quello no. Ho sempre dato tutto me stesso, ho dimostrato di tenere alla maglia, per questo la gente mi ha voluto bene. Purtroppo l’ultimo anno non ho avuto la fiducia che hanno avuto gli altri attaccanti, ma rimpianti no. Cagliari resta sempre qualcosa di speciale. Ho conosciuto persone splendide, ho tanti amici, poi in quegli anni sono cresciuto molto come calciatore e come uomo». A tutto campo, Larry parla anche della differenza tra il calcio spagnolo e il calcio italiano: «In Italia si vive per la tattica, qui si gioca più guardando la porta avversaria che quella propria. Così ci sono più occasioni, più gol. Ed è più divertente per noi calciatori e i tifosi». Meglio di Neymar: già, perché l’asso brasiliano, strapagato dal Barcellona quest’estate, ha segnato meno di lui (appena nove reti, contro le undici dell’argentino): «Già, nel calcio può succedere davvero di tutto. Ho trovato un ambiente fantastico, io sono felice di essere qua e tutti sono felici che io sia qua». Ricorda con meno piacere l’esperienza in Messico con l’Atlante, appena tre reti e ultimo posto in campionato: «La situazione era particolare, non pagavano gli stipendi e l’ambiente non era quello ideale» mentre continua a parlare del Cagliari: «Non mi sono mai sentito raccomandato, perché non era vero. Se così fosse stato, il mister non avrebbe avuto voce in capitolo. Invece per esempio Allegri ne aveva parecchia, e lui credeva in me, al contrario di altri allenatori. Ci sono state situazioni davvero incomprensibili. Per esempio, se a Napoli segno tre gol e la partita dopo con l’Atalanta finisco in panchina, qualcosa non torna. Continuavo a pagare gli errori commessi all’inizio. Il momento più bello? Quella tripletta al Napoli, sicuramente, ma in generale tutte le partite con il Napoli per la rivalità e l’emozione che le accompagnava. Il 2-1 con gol di Conti alla fine non lo scorderò mai, poi ho avuto la anche la fortuna di segnare nel 3-3». Non mancano gli elogi agli ex compagni: «Il giocatore più forte con cui ho mai giocato? Lui, Conti, tutti gli anni faceva la differenza. Poi Astori, quanto è migliorato, così come Nainggolan. Ma il futuro è Ibarbo, è troppo forte. Il rapporto con Lopez? Speciale, facevo ormai parte della sua famiglia. Era già un allenatore in campo, ha idee e personalità. Mi spiace per il suo esonero, ma avrà modo di rifarsi. Mi ricorda Allegri, al quale tra l’altro non è andata poi così male quando ha lasciato il Cagliari, visto che ha vinto subito lo scudetto»