2015

Anniversario scudetto, Tomasini: «45 anni passati in una terra bellissima»

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La ricorrenza del 12 aprile è nel calendario degli appassionati rossoblù cerchiata al pari delle festività religiose: in questo giorno di 45 anni fa veniva suggellato un trionfo storico e unico, lo Scudetto. I personaggi che resero possibile il realizzarsi di quel sogno sono oggi nomi della mitologia, profili che si tracciano raccontandone le gesta ai bambini davanti al caminetto, in poche parole icone.
Quest’oggi a Costa Rei si sono ritrovati Adriano Reginato e Giuseppe Tomasini per festeggiare l’anniversario di quell’incredibile pomeriggio del 1970, e hanno voluto partecipare almeno telefonicamente diversi eroi, da Albertosi a Greatti passando per tanti altri.
A margine dei festeggiamenti abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Tomasini, a cui abbiamo chiesto di raccontarci le sue sensazioni a quasi mezzo secolo di distanza.

 

Tomas, sono già passati 45 anni…
«E’ vero, ma sono 45 anni passati in una terra bellissima. Se io e tanti altri protagonisti dell’epoca viviamo ancora in Sardegna vuol dire che si è creato un legame indissolubile con quest’isola e la sua gente. Ti confesso che quando mi dissero che dovevo trasferirmi al Cagliari non ne volevo sapere: venivo da due anni passati a Reggio Calabria, non avevo alcuna intenzione di spostarmi così lontano… poi mi sono innamorato di questo posto e non me ne sono più andato».

 

Cosa rimane di quelle gesta al giorno d’oggi?
«Quello dello Scudetto in Sardegna è veramente un sogno che si è realizzato. Già all’epoca sapevamo che si trattava di un’impresa eccezionale, ma il tempo che è passato dopo ci ha come fatto scoprire ancora di più l’irripetibilità di quella conquista. Ricordo tutto: gli aneddoti, le battaglie, i sacrifici. Noi di quella squadra siamo ancora molto amici e uniti, questo ti fa capire che razza di compattezza avesse quel gruppo. Oggi mancano Scopigno, che fu mirabile nel credere in noi e nel gestirci in modo del tutto inusuale, ma anche alcuni compagni e qualcuno dello staff di allora: li ricordiamo con il sorriso, ci spiace che non siano fra noi ma non c’è malinconia, restiamo legati dall’affetto oltre tutti i confini».

 

Ci fu un momento preciso in qui sentiste quel sogno diventare realizzabile?
«Cito la partita con il Bari, ma non quella del 12 aprile cui pensano tutti. Parlo dell’anno prima, in trasferta, quando mister Scopigno negli spogliatoi parlò per la prima volta di Scudetto. Ci trasmise la convinzione di potercela fare, fu un cambio di prospettive importante. Lui era un uomo colto e molto intelligente, riuscì a responsabilizzarci. Capì che dietro il giocatore c’è l’uomo, e quella squadra era formata da persone diversissime sia sul campo che nella vita. Mi piace pensarci come un gruppo in cui convivevano ingegneri e manovali, ognuno aveva i suoi compiti e le sue capacità ma tutti concentravano sulla squadra i loro sforzi».

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