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Brugnera su Riva: «Non nascerà mai più un bomber come lui, parlava con il campo»

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Le dichiarazioni di Mario Brugnera, ex giocatore del Cagliari scudettato che ricorda il recentemente scomparso Gigi Riva

Non sono mancate le emozioni e le lacrime nell’ultimo saluto a Gigi Riva. Nella giornata di ieri, si sono svolti i riti funebri di Rombo di Tuono in mezzo a una marea di persone che sono accorse in massa per omaggiare la leggenda del Cagliari. E non mancano le belle parole di tanti personaggi dello sport in ricordo di Riva. Ecco, di seguito, le parole di Mario Brugnera, suo ex compagno di squadra nel Cagliari scudettato, riportate dalle colonne di Tuttosport.

TRISTE SCOPERTA – «Ero davanti alla tv per guardare l’Inter, la finale. Avevo saputo che era stato ricoverato, ma nel pomeriggio i medici avevano emesso un comunicato che tutto sommato mi aveva rasserenato un po’, dicevano che le sue condizioni erano stazionarie, sembrava una situazione sotto controllo. Il bollettino diceva che si stava riprendendo, che era cosciente, che parlava… Doveva solo fare questo intervento di angioplastica… Ma poi è successo quello che è successo. E all’improvviso lo dicono alla tv: Gigi Riva è morto. Oddio santo. Ho chiamato subito un mio amico medico in ospedale, speravo… non so neanche io cosa speravo. Speravo di sentirmi dire che non era vero, ma come crederci, come poter illudermi? E il medico mi ha detto sì, Mario, purtroppo è vero, non c’è più il nostro Gigi, non c’è più, se n’è andato».

RICORDI – «Dalle otto di sera a mezzanotte ho guardato tutti i documentari e i servizi che venivano trasmessi in televisione sulle nostre battaglie, poi mi sono addormentato, senza accorgermene. E lì l’ho sognato. L’ho sognato mi è parso anche a lungo, c’eravamo tutti, ma proprio tutti noi di quel Cagliari. Facevamo baldoria come ai vecchi tempi, cantavamo, festeggiavamo. Era tutto così bello, dolce».

TRISTEZZA – «Poi mi sono svegliato di soprassalto, erano l’una e mezzo di notte, e ho acceso la luce, mi sono guardato attorno… non c’era più nessuno, nessuno. Non c’era più Gigi, era un sogno, Gigi è morto per davvero. Non ho più dormito, non potevo, sono rimasto sveglio tutta la notte con i miei ricordi. Le mie lacrime».

RIVA – «Non nascerà mai più un bomber come lui, così forte. Mi torna alla mente il suo secondo grave infortunio, tibia e perone. Quell’austriaco… Bruttissimo per lui e per tutti noi, per tutta l’Isola. Tutti abbiamo subito capito che non avremmo più vinto un altro scudetto. Lo scudetto l’abbiamo vinto tutti e sedici noi giocatori, anche chi stava in panchina, Scopigno, i collaboratori, la società e tutto un popolo alle nostre spalle. L’abbiamo vinto in sedici fratelli, perché eravamo fratelli, ma in più con i suoi gol: perché senza i suoi gol, quando mai… E io in vita mia ne ho visti tanti di goleador… Ma come lui nessuno, mai. In allenamento ti diceva: vuoi che prenda la bandierina del calcio d’angolo? Tirava una sassata da lontano e la colpiva. Facevamo le gare a prendere la traversa, per allenarci. Noi con un colpo sotto il pallone, morbido. E la colpivamo: io, Greatti, Nené… Ma lui sempre con le sue bordate inimitabili. Poi diceva a me e Domenghini: mettetevi sulle due fasce, crossatemi all’inglese… che era un modo di dire dell’epoca, erano i cross secchi, tirati con forza… E lui in area si allenava di testa a far gol… e io sentivo male per lui, quando colpiva il pallone. Poi in partita lottava in mezzo a due o tre difensori e dava la carica a tutti… Nello spogliatoio invece parlavano di più altri, non lui… Lui parlava in campo. E se dava il 100%, automaticamente anche noi dovevamo farlo».

TI ASPETTIAMO – «Ultimamente lo si vedeva di meno, ogni tanto andavamo a turno a suonargli il citofono, ma è capitato che ci dicesse: un’altra volta, per favore. L’ho visto: lì, nella camera ardente, e gli ho parlato. Gli ho detto: Gigi, adesso raduna tutti, chiama anche quelli che sono lì con te… Nené, Scopigno, Martiradonna… Ti aspettiamo, Gigi. Torna, tornate tutti. Giochiamo ancora una partita. Ti aspettiamo tutti qui allo stadio per giocare ancora una volta assieme. Ho voluto dirglielo, mi sentivo di fare così».

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