2014

Cagliari-Atalanta, storia di una partita nomade

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La storia del Cagliari nomade di questi ultimi anni è nota, fra partite “casalinghe” all’altro capo dello Stivale, stadi nati e scomparsi, e innumerevoli burocratismi che hanno costretto ogni tifoso rossoblù a diventare esperto di permessi, commissioni e perfino fattispecie penali.
Se in tutto questo viavai c’è una partita che ha accompagnato le tappe della tragicommedia è proprio CagliariAtalanta, che tornerà a disputarsi al Sant’Elia domenica dopo due anni e mezzo dall’ultima volta.

Ultima in tanti sensi, perché quella del primo aprile 2012 (e non era un pesce) fu l’ultima gara giocata nel vecchio impianto cittadino, già pesantemente limitato nella capienza, prima dell’esilio a Trieste. Per la cronaca finì 2-0 con le reti di Capitan Conti e Pinilla. Al termine di quella gara il Cagliari fece i bagagli ed abbandonò il Sant’Elia per farvi ritorno solo la scorsa annata.
La stagione successiva vide lo scontro fra rossoblù e nerazzurri alla seconda di campionato, proprio come oggi, ma la cornice fu Is Arenas. Erano i primi di settembre 2012, il neonato stadio quartese non aveva ancora assunto la sua forma definitiva (definitiva si fa per dire) e la partita si giocò senza pubblico. Lo scenario surreale si componeva fra l’altro dell’eco dei cori dei tifosi, che giungeva dall’esterno dello stadio-cantiere, e di una gru che sosteneva alcuni fari per sopperire alla mancanza di riflettori. Quella sera finì uno a uno, con il vantaggio esterno di Denis ed il pareggio in extremis di Ekdal dopo che Consigli aveva neutralizzato ben due rigori (Conti e Larrivey i tiratori dalle polveri bagnate).
Poteva mancare Trieste in questo giro di giostra? Certo che no, il match della scorsa stagione fra sardi e bergamaschi, stavolta alla prima giornata, ebbe luogo al Nereo Rocco. Alla zuccata di Stendardo risposero Nainggolan e Cabrera per il due a uno finale.

Domenica anche questa gara tornerà a casa: dall’ultima volta è cambiato tanto, quasi tutto. Ma non la voglia del popolo rossoblù di accogliere i propri beniamini.

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