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Dario Silva: «I tifosi del Cagliari sanno che sono uno di loro» – ESCLUSIVA

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A tu per tu con Dario Silva. L’ex attaccante del Cagliari si racconta in diretta sulla nostra pagina Facebook: l’intervista esclusiva

Un altro gradito ospite nella nostra trasmissione di Casa CagliariNews24 sulla nostra pagina Facebook. Oggi con noi Dario Silva, attaccante del Cagliari dal 1995 al 1998. In Sardegna ha lasciato splendidi ricordi ed è ricordato ancora oggi con grande affetto da tutti i tifosi. È stata l’occasione per rivivere gli anni di Dario Silva in rossoblù e chiedergli del rapporto ormai solido tra l’Uruguay e il Cagliari.

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Dario, iniziamo dai tuoi anni a Cagliari: eravate un bel gruppo, vi divertivate in campo?
«Io ho sempre cercato di divertirmi nella mia vita, essere allegro col sorriso sulla faccia. Eravamo un bel gruppo, dentro e fuori dal campo. Anche per quello eravamo una buona squadra».

Il gol a Castel di Sangro è il più bello segnato con il Cagliari?
«Sì. Lo dico io e l’hanno detto i miei compagni. La settimana prima di quella partita, ci allenavamo a provare uno schema con cross per i colpi di testa. Dopo un’ora mi sono arrabbiato e ho detto al mister che me ne sarei andato e che avremmo vinto la partita se avessimo fatto quello che volevo io. Bastava mettermi la palla sul petto e io avrei fatto la rovesciata all’incrocio sul secondo palo, senza provare tutti quelli schemi. Me ne sono andato dall’allenamento. Poi in partita è arrivata la punizione giusta e ho detto a Cavezzi di darmela sul petto, lui mi ha risposto di sì e poi siamo andati ad esultare con i tifosi».

Il mister in quella stagione era Ventura. È stato per causa sua se te ne sai andato da Cagliari?
«Sì, purtroppo sì. Faceva cose che a me non piacevano. Io faccio le cose per divertirmi e vincere, dimostrare di essere il migliore sul campo. Lui si è comportato male con me e per non fare del male al Cagliari me ne sono andato via. E mi dispiace».

Invece con Giovanni Trapattoni c’era un altro tipo di rapporto?
«Lui mi ha insegnato tanto. Mi parlava in spagnolo e mi faceva fare un’ora e mezzo in più di allenamento rispetto agli altri perché secondo lui avevano una potenza fuori dal comune per giocare a calcio. Ci teneva a migliorarmi per il futuro della mia carriera e del club. Restavamo io, lui, a volte un portiere e i palloni. Dopo due mesi così, sono scappato nello spogliatoio per tornare a casa insieme ai miei compagni. E invece lui mi fece cambiare nuovamente. Voleva migliorarmi e alla fine guardate dove sono arrivato anche grazie a lui».

Il giocatore più forte e quello più scarso con cui hai giocato?
«Non ho mai giocato con nessuno scarso. Nel mondo ci sono tanti calciatori e quelli con cui ho giocato io riuscivano a stare in Serie A e in Serie B. Non è facile. Qualcosa evidentemente la sapevano fare. I miei compagni erano tutti forti per lo stesso motivo».

Tra quelli fortissimi, c’è anche il tuo amico e connazionale Fabian O’Neill.
«Ho capito da subito che sarebbe diventato grande. Si vedeva che faceva qualcosa di diverso in Uruguay. Quando Trapattoni mi chiese cosa ne pensassi gli dissi di portarlo subito a Cagliari. Era micidiale e non ci siamo sbagliati. Ho giocato anche con Dely Valdes a Malaga. Vincevamo le partite che volevamo, anche quelle difficili senza guardare i nomi delle squadre e dei giocatori davanti. Capivamo di essere forti e abbiamo dimostrato come possono giocare insieme due attaccanti sudamericani».

A Cagliari c’è una grande tradizione di uruguaiani. C’è un filo diretto tra la Sardegna e l’Uruguay?
«Tutti i giocatori uruguaiani a Cagliari hanno fatto bene. La gente lo capisce. E se in Uruguay parli di Cagliari e di Sardegna, tutti vogliono andare a giocare lì perché i più grandi sono passati da quelle parti. Significa che è un grande trampolino e anche la città è bella».

Hai seguito il Cagliari quest’anno? Per un periodo sembrava lanciato per l’Europa.
«Lo seguo sempre. Eravamo lì vicino, poi le cose sono andate storte, purtroppo succede. Non sempre si può puntare verso l’alto, ma ci sono giocatori importanti Nandez e Nainggolan».

Dopo più di 20 anni, i tifosi del Cagliari ti vogliono ancora molto bene.
«Sì, l’ho sempre capito. Quando sono tornato dopo 18 anni non era cambiato niente, le persone sono le stesse, solo più vecchie. I tifosi sanno che io sono uno di loro. Mi fa piacere. Ho dato tutto per il Cagliari e avrei dato anche di più. Quando il Cagliari è retrocesso nel 1997 avevo offerte per andare via, ma ho detto di no. Volevo rimanere a Cagliari, perché non volevo andare via con il peso della retrocessione sulla coscienza. Sarei stato un codardo ad andarmene. Non avrei mai potuto, è il mio modo di essere».

A Cagliari hai imparato anche a capire il calcio italiano ed europeo?
«Sì, è quello che dicevo prima. Correvo più del pallone e per quello mi hanno soprannominato “Sa Pibinca”. Avevo in testa di correre per 90′, lasciavo l’anima in campo. Poi sono migliorato, anche perché ho cercato persone specializzate per migliorarmi. A Malaga ho cercato anche un campione del mondo dei 110 metri ostacoli. Mi ha insegnato come fermarmi in velocità, l’ho capito e l’ho messo in pratica».

Com’era il tuo rapporto con il presidente Cellino?
«È sempre andato bene. Io sono un uomo di parola. Ci sono state cose che non mi sono piaciute e gliele ho dette in faccia. Mi aveva fatto anche 4 anni di contratto in più e gliel’ho strappato in faccia. Avevo un legame forte con questa squadra e volevo che facesse bene. Il rapporto però è sempre rimasto».

Che sensazioni hai avuto quando sei arrivato a Cagliari?
«Ho lasciato il calcio a 17 anni perché mi annoiavo. Sono tornato dopo 8 mesi e mi hanno convocato in Nazionale. Sono andato al Sudamericano e Mondiale U20. Ho giocato al Defensor, poi due anni al Peñarol e nel ’95 sono arrivato in Sardegna. In tre anni sono arrivato in Europa».

Il ct dell’Uruguay è il Maestro Tabarez, un allenatore passato anche a Cagliari e molto stimato.
«Io non lo stimo. La storia si fa con le statistiche. In 14 anni che allena la nazionale uruguaiana ha vinto solo una Copa America. Per noi è facile, ne abbiamo 15 in bacheca. Non vincerla sarebbe preoccupante. I giocatori che abbiamo in questa Nazionale non li avremo più, ma magari mi sbaglio. Abbiamo i due attaccanti più importanti del mondo (Suarez e Cavani, ndr) e non facciamo gol. Per come vedo io il calcio, non mi piace».

A proposito di Celeste, il Cagliari in rosa ha tre giocatori uruguaiani come Oliva, Nandez e Pereiro.
«Oliva non lo conoscevo molto. So chi è, ma non l’ho visto tanto perché è ancora giovane. Nandez lo volevo portare al Malaga quando giocava al Peñarol. Dopo due anni è andato in Nazionale e al Boca Juniors. A quel punto era impossibile prenderlo. Quando è uscita la voce del Cagliari su Nandez non ci credevo. 20 milioni erano troppi per un centrocampista. Lui è molto bravo, ma 20 milioni per il Cagliari mi sembravano troppi. Anche ai miei amici in Uruguay dicevo che non sarebbe andato a Cagliari. Invece… Ha fatto bene perché al Cagliari guadagnerà di più. Farà quest’anno e l’anno prossimo, poi dovremo salutarlo e ringraziarlo. Varrà più di 20 milioni? Sì. E non è ancora al top, ci arriverà a 26-27 anni. Pereiro? Mi piace. Lo seguivo molto quando giocava al PSV, mi sembrava molto interessante. In Uruguay faceva la differenza. Fa piacere vederlo. Adesso il calcio sudamericano sembra anche più vicino a quello europeo».

Quando sarà finita quest’emergenza sanitaria, ti aspettiamo a Cagliari per assitere una partita.
«Se il Cagliari va in Europa, giuro che sarò presente ad ogni gara casalinga europea. Se il Cagliari giocherà in Champions o Europa League sarà come se giocassi io. A me fa piacere dire “questa è la mia squadra”».

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