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Guerra Ucraina, l’ex Bianco: «La notte non potevi chiudere occhio»

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Paolo Bianco, ex giocatore del Cagliari, ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito ai momenti trascorsi in Ucraina

Paolo Bianco, ex giocatore del Cagliari, ha rilasciato alcune dichiarazioni ai microfoni di Goal in merito ai momenti trascorsi in Ucraina.

«Fino al 19 febbraio eravamo in ritiro in Turchia poi siamo ritornati a Kiev perché ci avevano assicurato che non sarebbe successo nulla. Tutti gli ucraini erano convinti che non sarebbe successo nulla. Il 16 febbraio, che secondo fonti dell’Intelligence americana sarebbe stato il giorno dell’invasione, il nostro presidente che è il più importante oligarca del Paese è andato a Maripol, città in cui abbiamo la nostra seconda squadra e ha investito lì un miliardo di dollari… erano proprio convintissimi che non sarebbe successo nulla. Tutto il mondo si aspettava l’ingresso della Russia in Ucraina, tranne gli ucraini. Mercoledì 23 avevamo fatto allenamento, apprestandoci a fare una partita che si sarebbe tenuta a Kharkiv, nella città più vicina alla Russia. Fino al mercoledì sera nessuno ci ha mai detto che il campionato poteva essere sospeso: mercoledì dopo cena la società ci ha convocato nell’hotel dove siamo stati in quei giorni drammatici dicendoci che il giovedì mattina il campionato rischiava di essere sospeso. Il problema è che prima ancora che venisse fermato il campionato, la Russia ha sganciato le bombe su Kiev. Noi come staff, Roberto come allenatore, non saremmo mai andati via prima che il campionato venisse sospeso, anche se la Farnesina ci aveva consigliato di lasciare il Paese. Anche noi abbiamo le nostre responsabilità, anche se si parla di calcio: e quando tu vai al campo e parli ai tuoi giocatori, stando tutti insieme non avresti mai lasciato il Paese. Noi dicevamo alla società che tutto il mondo parlava dell’invasione dei russi, ma loro ci dicevano che era tutto un bluff di Putin. Erano convintissimi, ma non è un’accusa. Abbiamo più volte chiesto la possibilità di evacuare, ma il Governo Italiano non poteva fare nulla, ci avevano chiesto di lasciare l’Ucraina preventivamente, ma poi per loro è diventato impossibile fare qualcosa. Noi siamo sempre stati in contatto con il console e con l’ambasciatore. Roberto De Zerbi ha un rapporto diretto con il governatore dell’Emilia-Romagna, Bonaccini, e lui ci ha dato una mano contattando Di Maio. Però la politica in quei casi, se non ci sono umanitari, fanno veramente fatica: non ci sono mezzi pratici. Le persone che ci hanno aiutato materialmente sono state la nostra società, il ds Darijo Srna che ha contattato Ceferin e Gravina che ha contattato la Federcalcio ucraina che alla fine è riuscita a portarci o in Ungheria. Per quello siamo fortunati: nonostante ci fosse qualcosa di grande avevamo dei canali diversi purtroppo dagli altri italiani. Abbiamo lasciato l’hotel con un coprifuoco militare con l’ordine di sparare a vista chiunque camminasse per strada. Durante le giornate ci preparavamo a quello che poteva essere l’eventuale ingresso in città dei russi. Ci avevano detto di tenerci pronti a mostrare la dell’Italia, di tenere il passaporto ben in vista, le mani in vista, la faccia giù, di non sfidarli… quindi aspettavamo un momento del genere. E ovviamente la notte non potevi chiudere occhio. Di giorno c’era tregua, non si bombardava, ma di giorno pensavamo a come poter evacuare, telefonando al console o aspettando un convoglio al quale accodarci. Le giornate passavano a organizzare un’eventuale evacuazione, poi alle 2 del pomeriggio diventava buio ed era impossibile andare via perché era pericolosissimo».

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