Editoriale
Il secondo capolavoro di Castori: vuoi vedere che la gavetta…
La promozione in Serie A della Salernitana riporta in auge Fabrizio Castori, allenatore esempio lampante di quanto sia importante la gavetta
In alto i calici per Fabrizio Castori. La firma più prestigiosa sulla promozione in Serie A della Salernitana è senza ombra di dubbio quella dell’uomo da San Severino Marche. Un modello da seguire per tutti gli allenatori che non hanno avuto il privilegio di partire dall’alto, ma che hanno dovuto costruire la propria carriera passo dopo passo.
Con fatica e passione, dai campi in polvere al palcoscenico di San Siro. Non a caso è l’unico tecnico italiano ad aver allenato in tutte le categorie del calcio nazionale, dalla Terza alla Serie A. Un posto al sole ritrovato a distanza di sei anni dalla prima impresa capolavoro, quella realizzata con il Carpi.
Per carità, non per sminuire la vittoria in Promozione con il Cerreto o lo Scudetto di Serie D con il Lanciano, ma è chiaro che il nuovo trionfo in Serie B valga le meritate prime pagine dei giornali. Sono passati infatti più di vent’anni da quando i granata scrissero le ultime parole nel calcio che conta. Era la Salernitana di Gattuso e Di Vaio, di Song e Di Michele.
Ma adesso l’eroe è proprio lui, quel Fabrizio Castori alfiere del pragmatismo, della concretezza e della preparazione tattica. Esponente di una scuola di allenatori magari più antica nella concezione, ma sempre tremendamente efficace. E con una lunga, interminabile gavetta a forgiarne talento e capacità.
Perché il club di Lotito, che a proposito sarà ora obbligato dai regolamenti a liberarsi entro poche settimane del gioiellino campano, non partiva certo con i favori del pronostico. Basti pensare al ricchissimo ma discontinuo Monza o a quel Lecce dal quale ci si aspettava un passo più brillante.
Invece, insieme all’Empoli dell’astro nascente Dionisi, ecco sbucare un freschissimo 66enne che ne ha viste di tutti i colori nella sua carriera. Un messaggio forte e chiaro per chi, spesso con troppa superficialità, sminuisce l’importanza dell’esperienza che, come racconta un vecchio adagio, non si compra al supermercato.