2014
Nainggolan tra presente e futuro: «Meritavo il Mondiale. A Roma si può vincere»
Archiviata la stagione appena trascorsa con il secondo posto alle spalle dell’imprendibile Juventus e smaltita la delusione per esser stato lasciato fuori dalla lista dei convocati per il Mondiale dal ct del Belgio, Marc Wilmots, nonostante l’approdo alla Roma nello scorso gennaio, Radja Nainggolan si confessa in un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport.
L’ex centrocampista del Cagliari non ha dubbi sulla sua mancata convocazione al prossimo Mondiale brasiliano: «Non mi ha mai regalato niente nessuno, mi sono sempre guadagnato tutto da solo. Il Mondiale me lo ero meritato sul campo, poi Wilmots ha fatto scelte diverse. Pazienza, ho fatto 38 gare, c’è chi ne ha fatte 10 e va in Brasile».
Poi il Ninja passa alla sua avventura con la maglia della Roma, e dopo il secondo posto conquistato in questa stagione è convinto che i giallorossi abbiano tutte le carte in regola per tornare a vincere: «Questa squadra è già forte. Se riusciamo a tenere la rosa attuale, e con il ritorno di Strootman, possiamo fare bene. Giocando poi la Champions qualcun’altro arriverà. Non so se questa squadra fosse già pronta per la Champions, ma dopo due anni così così siamo andati oltre le aspettative, ora bisogna migliorare dove non siamo andati bene, ma penso che a Roma si possa vincere lo scudetto».
Nainggolan è rimasto colpito dal nuovo tecnico dei giallorossi Rudi Garcia, l’allenatore francese che è stata una delle piacevoli rivelazioni del campionato: «Quello che c’è di diverso in lui è la mentalità, la visione del gioco. In allenamento lavoriamo sempre molto con la palla e nelle gare si vede: la squadra gioca bene, i risultati ci hanno premiato».
Poi il belga si confessa sul lato personale, dal suo modo di giocare al rapporto con i social network sino alla passione per i tatuaggi: «Sono uno che lotta sempre per vincere. Le difficoltà che hai avuto nella vita le porti anche nel campo di calcio. Per ottenere sempre il massimo, devi dare il massimo. Prima che giocatore sono una persona. Non posso tollerare gli insulti verso di me o la mia famiglia. Mi devo difendere, una rispostina ogni tanto ci sta bene. Non sono matto. Il rispetto è importante, ma per averlo bisogna anche offrirlo. Se qualcuno me ne manca solo perché sono un calciatore, da uomo gli rispondo con lo stesso atteggiamento. Il primo tatuaggio è stato una stella, tanto per capire il dolore. Poi sono venuti gli altri, tanti con un significato particolare. Strada facendo sono diventati una forma di espressione artistica».