2014

No potho reposare, brividi al Sant’Elia: è la nascita di un inno?

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Stadio Sant’Elia, 29 ottobre 2014: nell’attesa che scendano in campo Cagliari e Milan l’impianto cagliaritano, finalmente tornato ad una capienza dignitosa, è allietato dalla consueta compilation di canzoni adrenaliniche propedeutiche alla gara.
D’un tratto però risuonano le prime note di qualcosa che fa alzare qualche sopracciglio qua e là, e spalanca la bocca di chi ha riconosciuto quell’incipit. Di lì a pochi secondi arriva la voce di Andrea Parodi, e No potho reposare avvolge i sedicimila partecipanti alla serata. L’effetto di quella canzone, di quella lingua, di quel sentimento è qualcosa di potenzialmente esplosivo: il Cagliari ha già un inno ufficiale, che va benissimo per festeggiare un gol o comunque in circostanze movimentate, ma quel frammento di storia sarda può diventare un canto comune, una dichiarazione d’amore e di identità in grado di far tremare le gambe di qualsiasi avversario.
Certo servirebbe un po’ di lavoro, ad esempio la distribuzione del testo (ma quando ci sarà un tabellone luminoso l’ostacolo sarà superabile di slancio), ma se davvero No potho reposare entrerà nel rito della partita sarà qualcosa di cui andare orgogliosi per tanti motivi. Può un brano lento e toccante adattarsi alla frenesia di uno stadio pieno di gente? Chiedetelo a chi affronta il Liverpool e viene ammutolito dalla Kop che intona You’ll Never Walk Alone.
Può un inno nascere dal basso, all’improvviso? Qui non si tratta di appiccicare in modo posticcio una canzone a un evento sportivo, ma di ribadire un’identità orgogliosamente sentita da un popolo intero, e si tratta di cantare l’amore per dei colori, per una squadra che quanto a rappresentatività non è seconda a nessuna.

IL BRANO – E’ il 1915 quando Badore Sini scrive “A Diosa“, componimento poetico poi musicato in un lento, dolcissimo tre quarti da Giuseppe Rachel. A dire il vero nella storia si perde la paternità certa, c’è chi dice che la musica sia nata prima e solo in seguito adattata al testo. Di sicuro muta il titolo che si riassume nel refrain, ma nulla cambia nella sostanza di un connubio fra musica e parole che da sempre ha saputo toccare le corde più profonde del popolo sardo. Nella nostra tradizione è doveroso citare Maria Carta, che ha saputo dare al brano quei toni asciutti che fanno arrivare il messaggio nel profondo.

L’INTERPRETE – La versione suonata ieri al Sant’Elia è quella di un altro indimenticabile portatore della sardità in musica. Andrea Parodi, scomparso otto anni fa, è stato protagonista con i Tazenda di un’opera di abbattimento delle frontiere, riuscendo a portare oltre il mare i suoni dell’isola senza perdere un grammo di identità. Come solista ha avuto una carriera troppo breve ma costellata di collaborazioni con i grandi del jazz ed è diventato forse il volto più rappresentativo della musica sarda dei giorni nostri.

E chissà che in un prossimo futuro il boato del Sant’Elia non salga alto portando con sé un messaggio semplice e potente: “No potho riposare amore ‘e coro, pensende a tie so d’onzi momentu“.

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