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Rastelli: «Cagliari mi ha segnato. La crescita? È un club che programma» – ESCLUSIVA
A tu per tu con Massimo Rastelli: tra il (suo) passato a Cagliari ed il presente dei rossoblu. La nostra intervista all’allenatore dell’ultima promozione in Serie A
Il Cagliari odierno, che si appresta a compiere il suo centesimo anno di vita, parte da lontano. E’ il risultato di esperimenti, tentativi, momenti rosei ed altri neri, piccoli e grandi passi in avanti. Abbiamo raggiunto in esclusiva Massimo Rastelli, nocchiero dell’ultima promozione dei rossoblu (e del primo anno di stabilizzazione in A del nuovo corso), per parlare della crescita di squadra e club negli ultimi anni e del difficile momento vissuto oggi dall’Italia.
Mister, partiamo dalla situazione attuale. Come la vive?
«Con grande senso di responsabilità, da quel che sentiamo tutti i giorni siamo di fronte ad una guerra batteriologica, bisogna rispettare le disposizioni. Restare a casa se non in casi di grandissima necessità, per fare in modo che tutto passi velocemente. Sperando che nel giro di poche settimane si possa tornare ad una parvenza di normalità».
Pensa che lo stop al calcio italiano sia arrivato in ritardo?
«E’ difficile adesso dare dei giudizi, soprattutto quando non si conosce il nemico. Le misure sono ovviamente state prese strada facendo a seconda delle esigenze del momento. Ad una prima valutazione si pensava che il virus fosse non così pericoloso, poi ci si è accorti che bisognava fermarsi. Dare un giudizio a posteriori è troppo semplice: ovviamente se ci si fosse fermati un po’ prima sarebbe stato meglio, ma credo che il governo abbia operato in base ai dati che aveva a disposizione».
Dall’ultima promozione, il suo undicesimo posto in A non è ancora stato superato nonostante una crescita perpetua negli anni. Qualche sassolino da togliersi?
«No, assolutamente. Credo sia una soddisfazione per il mio lavoro, con l’aiuto di calciatori, collaboratori, società e del pubblico, che ci ha sempre dato una spinta incredibile. Sapete quanto sono legato alla città, all’ambiente ed a quell’esperienza che mi ha segnato tantissimo. Cagliari e la Sardegna mi sono rimaste dentro, posso solo avere ricordi molto molto positivi».
Si sarebbe aspettato un exploit tanto marcato come quello di questa stagione?
«Da una parte, tornando un po’ alla domanda di prima, questo dà un valore ulteriore ai risultati che abbiamo ottenuto noi. Quell’undicesimo posto con 47 punti l’ha raggiunto una squadra neo promossa, guidata da un allenatore alla prima esperienza in A, con tantissimi calciatori che la Serie A non l’avevano mai affrontata ed altri che l’avevano leggermente assaporata due stagioni prima, retrocedendo. Il tutto questo con una costanza nel corso del campionato: facemmo 23 punti all’andata e 24 al ritorno. La crescita che abbiamo visto negli ultimi mesi la sapevamo già allora, c’era un progetto di sviluppo negli anni».
Il Cagliari odierno.
«E’ una società che programma, che vuole crescere sempre, che vuole mettere le persone giuste al posto giusto per diventare una macchina perfetta sotto il punto di vista organizzativo. E poi gradualmente mettere delle basi sotto l’aspetto tecnico. Purtroppo il calcio non è una scienza esatta, non sempre i sacrifici degli investimenti portano i risultati sperati sul campo. L’abbiamo visto quest’anno, con uno degli organici probabilmente più forti degli ultimi 20-30 anni. La voglia di crescita la si percepiva già allora, c’erano aspettative in questo senso: dovevamo dare il meglio giornalmente per proiettare il Cagliari nel futuro».
Lei ha visto da vicino l’evoluzione tattica di Joao Pedro, da mezzala ad attaccante: si sarebbe aspettato questi numeri?
«Innanzitutto è un ragazzo straordinario dal punto di vista umano, serio e sempre disponibile. Per me è stata una grande risorsa, proprio per questa sua duttilità tattica. E’ normale che in Serie B, avendo Melchiorri, Farias, Sau, Giannetti, pur di far coesistere tutta questa qualità qualcuno dovevo un po’ sacrificarlo. Lui l’anno precedente era stato acquistato per fare la mezzala, ma sapevo e so quanto lui volesse giocare più da attaccante. Al di là della posizione tattica in campo credo che Joao abbia raggiunto la maturità calcistica, agevolato anche dal fatto di conoscere la città e l’ambiente. Ed il fatto di giocare più vicino alla porta gli permette di arrivare anche con lucidità davanti al portiere».