Hanno Detto
Tomasini: «Gigi Riva era un uomo di parola, non ha mai avuto rimpianti per aver scelto la Sardegna»
Le dichiarazioni dell’ex giocatore del Cagliari, Beppe Tomasini, sull’amico Gigi Riva: le parole dell’ex rossoblù
Gli ultimi giorni sono stati costellati da dichiarazioni su dichiarazioni riguardanti Gigi Riva. Rombo di Tuono ha compiuto il suo ultimo viaggio nella giornata di ieri quando, scortato da familiari e una folla oceanica, è stato seppellito nel cimitero di Bonaria. Il Cagliari e la sua città piangono la scomparsa di una leggenda. Ha parlato Beppe Tomasini proprio del suo ex compagno di squadra presso le colonne di Tuttosport. Ecco le sue dichiarazioni.
TERRIBILE – «Proprio così. Quando sono andato a trovarlo in ospedale e l’ho visto esanime nella bara non riuscivo a crederci. Ero stato a casa sua venerdì. Di solito era il giovedì il giorno in cui andavo a trovarlo, stavolta avevo rimandato solo di qualche ora. Devo essere sincero: non l’avevo visto benissimo, non come le ultime volte, ma certo nulla poteva far presagire che da lì a poco non ci sarebbe stato più. Lunedì avevo appreso del ricovero in ospedale, mi ero informato, mi avevano detto che non era nulla di grave poi la sera ho appreso la notizia dalla televisione. Terribile. Terribile».
CONOSCERE GIGI – «Come l’ho conosciuto? Giocavo nel Brescia, la squadra dove ero cresciuto, io sono di Palazzolo. Andavo in estate a fare le sabbiature a Grado. Era un’abitudine per noi calciatori, ci si trovava lì, appartenenti a squadre diverse e si costruivano amicizie. Con il mio compagno di squadra Egidio Salvi eravamo diventati amici di Gigi. Ognuno con il suo carattere, lui un po’ più riservato di noi, ma tutti umili, rispettosi, amanti della vita e del calcio. Fu Riva a convincermi ad accettare la proposta del Cagliari».
INNAMORATO – «Mi disse che il presidente stava costruendo una grande squadra, che avrebbe potuto dare fastidio a Juventus, Inter e Milan. Mi sembrava impossibile e poi in quella terra non ci volevo andare. Era così distante, diversa da dove ero abituato a vivere. Era l’estate del 1968, anno di contestazioni, bombe, attentati, morti. C’era paura anche solo ad uscire di casa, figuriamoci ad andare su un’isola della quale si conosceva poco. Pensai però che se uno come Riva, che aveva appena vinto l’Europeo da protagonista con l’Italia, aveva deciso di rimanere a Cagliari era perché ci aveva visto qualcosa di giusto, di grande. Chi ero io per rifiutare? Mi bastarono due mesi per innamorarmi di quella terra e infatti ci vivo da 55 anni».
SARDEGNA A VITA – «Già. Mai avuto nostalgia di tornare nel continente. Nei primi allenamenti capimmo che stava nascendo una squadra veramente forte. Il giorno dello scudetto Gigi mi disse: “Hai visto, avevo ragione?”.
RICORDI – «Parlavamo anche di calcio, certo. A lui però questo calcio non piaceva più di tanto. Mi diceva che c’erano troppi passaggi, non capiva perché tutte le squadre adesso iniziano la manovra da dietro. “Cosa sono tutti questi passaggi all’indietro?” ripeteva. E io: “Sì, hai ragione. Ti ricordi che noi partivamo dalla nostra area e andavamo verticalmente verso quella avversaria senza mai voltarci alle spalle?”. Annuiva soddisfatto. Non riuscivo però più a portarlo a fare le passeggiate mattutine delle quali io ancora adesso sento il bisogno. Mi diceva che aveva una casa sufficientemente grande per camminare tra le mura domestiche. Era praticamente tre anni che non usciva più».
SALTARE L’UOMO – «Guardava le partite del giorno d’oggi e non riusciva a trovare giocatori che saltavano l’uomo. Questo lo faceva diventar matto. Ai nostri tempi c’erano Mora, Domenghini, Claudio Sala, Causio. Dei fantastici dribblomani, che davano superiorità numerica alle loro squadre. Adesso i giocatori hanno quasi paura a puntare l’avversario e la passano indietro, come diceva giustamente Gigi».
MARCATURE – «Provavo a marcarlo in allenamento. Ogni tanto si litigava anche perché lui voleva sempre vincere. Era fortissimo. Su dieci tiri che faceva, almeno tre erano gol e gli altri arrivavano comunque nello specchio della porta».
NUOVI GIGI RIVA – «Macchè. Hanno indossato la maglia azzurra dei bravi giocatori, ma un altro Riva non l’ho ancora visto».
NESSUN RIMPIANTO – «Rimpianti di Riva per non aver giocato in grandi squadre? Mai. Certo lo scudetto ha aiutato a cementare ancora di più il gruppo, ma credo che lui sarebbe rimasto anche se non l’avessimo vinto. Era un uomo di parola, tutto di un pezzo. Non me l’ha mai detto apertamente, ma ho capito che quel tricolore è stata la sua più grande soddisfazione: più dell’Europeo da calciatore e del Mondiale da team manager. Dopo il suo infortunio, di fatto, quel Cagliari cessò di esistere. Ma rimanemmo noi: io, lui e altri sei giocatori, che decidemmo di restare per sempre sull’isola. Il mal di Sardegna esiste eccome. E Gigi Riva fu il primo a farselo entrare sotto pelle».